lunedì 23 febbraio 2009

Napolitano:«No ai tagli indiscriminati»


Il capo dello stato alla cerimonia per il settimo centenario dell'ateneo di Perugia


Le università italiane necessitano di «valutazioni e interventi pubblici puntuali» e «mi auguro che siano maturi i tempi per ripensare e rivedere scelte di bilancio improntate a tagli indiscriminati»: questo il monito del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano che all'Università di Perugia ha partecipato alla cerimonia conclusiva delle celebrazioni del settimo centenario di fondazione dell'ateneo umbro.

«LA RICERCA LEVA PER LO SVILUPPO» - Il Capo dello Stato ha ascoltato con grande attenzione la relazione del rettore dell'Università di Perugia Francesco Bistoni, il quale ha sottolineato i livelli di eccellenza ancora presenti negli atenei italiani nonostante il costo terribile - in termini anche monetari - della fuga dei cervelli all'estero. Questa costa all'erario statale ogni anno 1 miliardo e mezzo di euro. Napolitano ha colto queste osservazioni per una riflessione sull'Università, la crisi economica e i problemi del bilancio statale, rivendicando il diritto di fare dei richiami pubblici rispetto alla «situazione difficile». La conoscenza e la ricerca, ha voluto sottolineare il capo dello Stato, sono «leva fondamentale per la crescita economica e sociale» perché «solo il sapere e l’innovazione» rappresentano un argine e una carta vincente nella sfida dei mercati globali. Ma in Italia, ha aggiunto Napolitano, si tarda a trarre le dovute conseguenze di questa che sembra una verità riconosciuta da tutti. «Questa è una verità difficile da contestare e apparentemente non contestata anche nel nostro Paese - ha sottolineato il presidente della Repubblica -. Ma si tarda a trarne le conseguenze».

«NO A GENERALIZZAZIONI» - A Perugia Napolitano ha anche rinnovato l'appello a definire le riforme per l'Università senza abbandonarsi a generalizzazioni liquidatorie, guardando i singoli atenei in base ai risultati e ai problemi della ricerca «con coraggio» e considerando ciò che accade in Europa e nel Mondo in questo settore e che «può suggerire» delle soluzioni.

giovedì 12 febbraio 2009

L'università dei baroni


Oggi alle 15.30 sul Corriere.it è prevista una video chat di presentazione del libro "Un paese di Baroni", si potrà intervenire e inviare le propire domande direttamente ai due autori, Davide Carlucci e Antonio Castaldo.



FONTE CORRIERE.IT:

Il libro-inchiesta di davide carlucci e antonio castaldo
L'università dei baroni:
ecco come funziona
Un viaggio tra truffe, favori e abusi di potere:
i meccanismi perversi delle fabbriche di cultura italiane

MILANO – Sconcertante, devastante o umiliante? E’ difficile trovare gli aggettivi giusti per descrivere al meglio lo stato dell’università italiana dopo aver letto Un Paese di Baroni, il libro appena uscito di Davide Carlucci e Antonio Castaldo su «truffe, favori, abusi di potere. Logge segrete e criminalità organizzata. Come funziona l’università italiana» (editore Chiarelettere). Non un romanzo, purtroppo. Ma una lunga, dettagliata e approfondita inchiesta con nomi, cognomi, date, pochissime opinioni e tanti fatti.

La copertina del libro-inchiesta
La copertina del libro-inchiesta
Un’inchiesta che lascia senza fiato: perché se è vero che tutti sanno (o dicono di sapere) che è prassi comune e diffusa che per avere certe cattedre e varcare certe soglie occorra essere figlio di, amico di o sponsorizzato da, è altrettanto vero che leggere 309 pagine che raccontano di privilegi, concorsi truccati, reti di parentele intrecciate, infiltrazioni mafiose, gerarchie nazionali su chi comanda e dove, criteri gerontocratici di scelta, lobby bianche, rosse e nere, intrecci politici ed economici nella selezione dei docenti fa un effetto devastante. Non solo per i professori, ricercatori e dottori coinvolti nelle inchieste documentate nel libro ma per tutti quelli che pur a conoscenza di un «sistema tanto chiacchierato, e oggetto di generale indignazione fino ad oggi lo hanno accettato. L’importante era non fare i nomi» scrivono i due autori. Ora ci sono anche quelli, nero su bianco. Ma forse anche questo cambierà di poco la questione. Il sistema pare così tanto incancrenito da autoalimentarsi e sopravvivere da solo. Anche se delle crepe cominciano a intaccare il muro di gomma dell’università italiana.

Carlucci e Castaldo (tutti e due giornalisti; il primo a Repubblica, il secondo al Corriere della Sera) raccontano infatti, accanto all’università dei privilegi, anche quella di chi lavora seriamente tutti i giorni e per pochi soldi. E soprattutto riportano le storie e le testimonianze di chi si è ribellato contro i concorsi truccati, contro un «sistema fortissimo basato molto sull’obbedienza e poco sul merito». Citando i sempre più numerosi casi di intercettazioni fai da te di studenti, aspiranti ricercatori o docenti che si sono presentati nell’università dei baroni a colloquio con i prof muniti di registratori portatili per memorizzare «le regole del gioco». Negli ultimi anni proprio queste intercettazioni hanno portato a più di un’inchiesta contro prepotenze e abusi.

Alcuni in Italia si chiedono ancora perché nelle graduatorie sulle migliori università del mondo, i nostri atenei facciano sempre una pessima figura. Inutile chiederselo dopo aver letto questo libro. Peggio: frustrante. Paolo Bertinetti, preside della facoltà di lingue e letteratura a Torino afferma di «non aver mai conosciuto nessuno che sia diventato professore solo in base ai propri meriti». Stefano Podestà, ex ministro dell’Università nel 1996 ha dichiarato: «I rettori italiani? La metà di loro è iscritta alla massoneria». Mentre, dati alla mano, Carlucci e Castaldo scrivono che «i rettori hanno famiglia in 25 delle 59 università statali italiane. Quasi il 50% (il 42,3 per l’esattezza) ha nella medesima università un parente stretto, quasi sempre un altro docente». Più chiara ancora la ricostruzione di un dialogo tra docenti nella deposizione rilasciata all’autorità giudiziaria da Massimo Del Vecchio, professore di matematica a Bari – «Se non vengo io, tu non sarai nominato preside» – «Che cosa vuoi in cambio?» – «Due miei parenti falli entrare…». Carlo Sabba, uno dei professori che si è ribellato al sistema dei concorsi truccati, conclude amaramente: «Se non si spezza questa catena, i giovani saranno a immagine e somiglianza di chi li ha arruolati, e tutto rimarrà uguale».

Il libro-inchiesta di Carlucci e Castaldo vuole essere «un’istantanea sullo stato dell’università
Università Statale di Milano. Dibattito degli studenti su legge 133 (Paolo Poce)
Università Statale di Milano. Dibattito degli studenti su legge 133 (Paolo Poce)
italiana e delle èlite che la governano, nel momento di più profonda decadenza della sua storia». Nel volume si ripercorrono le vicende che hanno portato intere dinastie familiari alla conquista di tutte le cattedre disponibili nelle città italiane «calpestando tante volte il merito e eludendo le regole democratiche; con intere bande di cattedratici che si sono spartite il territorio proprio come fa la mafia; raccontando il sistema dei baroni e la fitta trama di scambi tra potere politico e mondo universitario. Il tutto a detrimento di chi crede nelle università e nell’eccellenza dello studio con i centinaia di professori, ricercatori e lettori che nonostante i soprusi e le generali storture di un sistema che non funziona, resistono e lavorano».

I due hanno deciso di dedicare il loro lavoro ai «tanti che in questi ultimi anni hanno denunciato abusi, aperto blog e siti internet contro il malcostume accademico, scrivendo spesso con nomi e cognomi ai quotidiani nazionali e ai tantissimi professori e ricercatori onesti grazie ai quali l’Italia è ai primissimi posti di una speciale classifica di merito stilata dalla rivista Nature nel 2004 calcolata in base alla proporzione tra investimenti ricevuti e qualità delle pubblicazioni delle principali riviste di ricerca internazionale: nonostante i pochi soldi, i concorsi truccati, la corruzione e molto altro i ricercatori italiani ottengono risultati eccezionali. Incredibile ma vero».

Viene solo da chiedersi allora, visto che la degenerazione universitaria è direttamente proporzionale alla cattiva qualità della ricerca, che Paese saremmo se le terribili storture denunciate in questo libro sull' università non ci fossero. Visto che «da qualche decennio si assiste ad un’autentica degenerazione della logica del privilegio e per un po’chi voleva far carriera si è adeguato, chi non ha trovato spazio ha cercato un’occasione all’estero, altri hanno gettato la spugna e hanno ripiegato sulla professione privata, sull’insegnamento nelle scuole superiori, oppure sono caduti in depressione». Cosa sarebbe l’Italia se tutti quelli che sono andati via o non sono riusciti ad entrare e lo meritavano avessero potuto studiare e fare ricerca nelle università del nostro Paese?

Occupazione all' Università La Sapienza - (Vincenzo Tersigni / Eidon)
Occupazione all' Università La Sapienza - (Vincenzo Tersigni / Eidon)
L’inchiesta si fa viva. Viene descritto nei dettagli il “sistema mafioso” che vige all’interno di alcune università (caso limite a Messina, dove «le indagini hanno mostrato le infiltrazioni mafiose e della ‘ndrangheta» e «la cosca Morabito è penetrata profondamente all’interno della Facoltà di medicina e chirurgia» come scrive il pm Gratteri della dda di Reggio Calabria). Viene raccontato come agisce la massoneria in cattedra («A Bologna ci sono due lobby, massoneria e Cl. Controllano la sanità e la facoltà di Medicina. E’ sempre stato così. E’ uno spaccato inquietante» dice Libero Mancuso, ex magistrato, assessore comunale a Bologna). Viene spiegato il meccanismo della grande truffa dei concorsi («C’è l’assenza di qualsiasi trasparenza nello stabilire chi merita e chi no. Pilotare i concorsi è una pratica assolutamente sicura e quasi indolore. I docenti sanno di partecipare a un teatrino. Il nome di chi deve vincere si conosce in anticipo. Talvolta è davvero la migliore delle scelte possibili. Altre volte decisamente no. Ma la domanda è: se già si conosce il vincitore perché spendere tanti soldi per indire i concorsi?» scrivono Carlucci e Castaldo). Si scende poi nei dettagli della Parentopoli d’Italia (Tre esempi soli tra i tanti? «A Roma il rettore è Luigi Frati, ex preside di facoltà di Medicina dove c’era la moglie, ex professoressa di liceo diventata ordinario, il figlio, chiamato a insegnare sotto la presidenza del padre, e la figlia, laureata in giurisprudenza…A Napoli nelle facoltà di Economia e Commercio della Federico II sono state rintracciate 140 parentele accademiche su un totale di 877 docenti...A Bari a Economia imperversano famiglie come i Massari: otto i docenti con questo cognome, tutti imparentati tra loro»). Si spiegano i meccanismi delle commistioni dei poteri trasversali, poteri politici e interessi economici che determinano assunzioni e vincitori di concorsi. Tutto sempre più spesso inter nos.

Basta leggere cosa dice il Cnvsu, il Comitato di valutazione universitaria: il 90,2% dei docenti vincitori di concorso dal 1999 al 2007 provenivano dallo stesso ateneo che aveva messo a bando la cattedra. Con l’autonomia universitaria del 1999 poi (finanziaria e contabile) si sono moltiplicati i docenti e i corsi di laurea più bizzarri. Gli insegnamenti sono raddoppiati: da 85mila a 171mila. Con una proliferazione che non ha eguali nel mondo: in Italia esistono 24 facoltà di Agraria, in California tre, in Olanda solo una.
Forse è anche per tutto questo che secondo i dati Ocse del settembre 2008 solo il 17% della popolazione italiana tra i 24 e i 34 anni ha conseguito una laurea (contro la media dei paesi Ocse del 33%) e solo il 45% degli iscritti arriva alla laurea, meno del Cile e del Messico e sotto la media Ocse del 69%? «Continuiamo così – direbbe il Nanni Moretti dell’ormai storica battuta del film “Bianca” – facciamoci del male».